ABBANDONARE UN GATTO (H. Murakami)

 

ABBANDONARE UN GATTO (H. Murakami)

⭐⭐⭐


 

In questo libro memoria H. Murakami ci racconta della sua famiglia, e nello specifico di suo padre Chiaki Murakami, figlio di un monaco buddista e di conseguenza anche lui avvicinato a tale vita ma poi ritrovatosi sul fronte di guerra. In questo tornare alle origini, H. Murakami, tenta di ricostruire la vita di suo padre nel regimento militare e per quanto padre e figlio fossero opposti e ‘distanti’ l’uno d’altro, il ricordare e il ricordo funge da elemento riconciliatore per entrambi.

H. Murakami scrive riguardo a suo padre: “A mio padre studiare piaceva. Lo studio per lui era un mezzo per vivere. Adorava la letteratura, e quando è diventato professore ha continuato a leggere molto. Casa nostra era sempre piena di libri. […] io non ho mai avuto alcun interesse per le materie di studio, i miei voti erano appena sufficienti […] mi dedicavo con passione alle cose che mi piacevano, e mi disinteressavo di tutte le altre […]”

Per quanto la differenza tra entrambi fosse evidente, questo non ha impedito ad H. Murakami di essere lo scrittore che oggi conosciamo anzi, lui stesso ha provato sulla sua pelle che “[…] per scrivere è necessario essere dotati, più che di intelligenza, di libertà di spirito e di una forte intuizione.”

Per me è la prima volta che leggo un libro di H. Murakami. Ho trovato la lettura interessante ma è necessario secondo me, entrare non sono nella mente ma nella cultura in cui lo scrittore si è formato. Ho avuto l’impressione di come, per lo scrittore, la componente legata all’abbandono fosse sempre presente: abbandono non per forza inteso come assenza fisica ma anche come incapacità a comunicare, a capirsi e di conseguenza ad allontanarsi. Che l’abbandono sia impresso nella sua mente, lo dimostra proprio il ricordo con cui apre il suo romanzo quando ci racconta di come “dopo aver detto addio alla gatta sulla spiaggia […] mio padre e io ce ne tornammo a casa. Scesi dalla bicicletta, un po' dispiaciuti ma rassegnati […] apriamo la porta e […] la gatta che avevamo appena abbandonato! Ci aveva preceduti, era tornata!”

In questa circostanza, per quanto la situazione ‘imponesse’ l’abbandono, la gatta era tornata indietro trovando la strada di CASA. Ecco come la casa, non è solo un luogo fisico ma anche un luogo in cui sentirsi sicuri e protetti.

Successivamente, H. Murakami, ci racconta invece: “Una sera […] vidi il gattino arrambicarsi velocemente su un pino […] però a un certo punto il gatto cominciò a lamentarsi, come chiedesse aiuto. […] I gatti sono bravi a salire sugli alberi, ma non a tornare giù […]”

Di solito, siamo abituati a valutare come unica difficoltà la salita ma mai la discesa. Eppure “[…] nella vita, scendere è molto più difficile che salire.”

Mentre leggevo questa frase, ho pensato a me e a tutte le volte che mi trovo in bicicletta, o a piedi e devo percorrere una strada in salita: la fatica che faccio è allucinante tanto che poi, quando vedo la discesa faccio sempre un sospiro di sollievo! Ma se, facendo la discesa inciampassi o non riuscissi a frenare? Cosa succederebbe? Come affronterei quella situazione? Questo mi ha fatto riflettere su come quello che apparentemente sembra scontato o banale ma che in realtà non lo è.

Ogni cosa ha un suo significato e un suo perché: “[…] ognuno di noi è una delle innumerevoli, anonime gocce di pioggia che cadono su una vasta pianura. Una goccia di pioggia che ha una sua individualità […] ha i suoi pensieri, ha la sua storia e il dovere di continuarla. Non lo dobbiamo dimenticare […] proprio perché si è inglobati in una massa”.

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