IL BALLO (Irène Némirovsky)

 

IL BALLO

(Irène Némirovsky)

⭐⭐⭐⭐⭐



Ci sono romanzi che, pur se brevi, una volta letti lasciano impresso un segno, proprio come è successo a me quest’oggi, quando mi sono dedicata al racconto di I. Némirovsky intitolato IL BALLO.

Premetto che questa per me è la prima esperienza di lettura ‘in compagnia’ di quest’autrice per cui, ho scelto di acquistare un’edizione che avesse anche un’introduzione alla sua vita nella speranza di poter empatizzare ancora meglio con la sua opera e nello specifico proprio con IL BALLO, racconto che ho percepito toccante quanto scottante.

Antoinette è una ragazzina (quasi adolescente) che vive in una famiglia benestante: questo benessere però non è ereditario ma è stato raggiunto nel tempo. Sua madre, la Signora Rosine Kampf, vuole organizzare un ballo dal quale però estromette la presenza della figlia: Antoinette, che vive un rapporto individuale e socialmente conflittuale con sua madre, saboterà di proposito questo ballo.

Antoinette si sta affacciando a quella fase evolutiva della vita – l’adolescenza – dove cambiamenti fisici ed emotivi sono all’ordine del giorno: ad esempio, ‘guardava avidamente l’uomo’ che era a fianco a Miss Betty oppure, non potendo assistere al ballo perché impeditole dalla madre, guardando la finestra ‘si vide sul marciapiede, distesa, in una pozza di sangue’.

L’insofferenza e la conflittualità nei confronti dei genitori ma in particolare della madre, risulta evidente proprio dall’inizio, quando il ‘non scomodarsi’ della figlia all’entrata di Rosine nella stanza, diventa un pretesto per puntualizzare le imprecisioni e le imperfezioni della giovane Antoinette. Come se non bastasse, Rosine, vuole colmare la sua esigenza di vivere a tal punto da trascurare quei bisogni (quasi) adolescenziali della figlia considerandoli scontati, superflui e insignificanti.

Non lo nego: ho sofferto per Antoinette e ho compreso la sua irascibilità.

Essere incompresi, messi da parte e sottovalutati è una sensazione tanto disgustosa quanto ripugnante: mi sono rivista nella soggezione provata da Antoinette perché anche io spesso ho permesso a certe circostanze di prendere il sopravvento sulla mia capacità decisionale ma quante volte avrei voluto gridare ‘mi hai scocciato’ e liberarmi. Invece, ho portato a lungo un macigno nella mente e nel cuore che poi è diventato così opprimente da provocarmi la necessità di liberarmene proprio come quegli inviti ‘accartocciati e gettati nella Senna’. Sono stata giudicata prepotente, orgogliosa ed egoista quando invece cercavo (pur sbagliando approccio) solo un po' comprensione e un abbraccio che mi stringesse forte ‘al cuore coprendomi di baci e carezze’.

“Sporchi egoisti! Sono io che voglio vivere […] Mi derubano, si prendono la mia parte di felicità […]”

Tra approcci impulsivi e precipitosi, col tempo e con l’esperienza, ho compreso quanto, lasciarsi dominare solo dalle emozioni non sia poi così salutare: non  è il ricatto, la ripicca o la vendetta che risolve le nostre controversie o complicazioni familiari ma il nostro atteggiamento di fronte la situazione.

Se guardo al mio passato, mettendomi nei panni di Antoinette, non avrei esitato ad agire come lei, ma col senno di poi, invece, avrei analizzato la situazione sotto angolazioni diverse: non avrei permesso all’imperfezione genitoriale (genitore si diventa, non si nasce) di rendermi una persona bellicosa; al contrario, sarebbe stata un’ottima occasione per sviluppare buone qualità come l’empatia e la pazienza.

Nella biografia di Irène Némirovsky si racconta che “sin dall’infanzia è stata costretta a fare i conti con una sorta di estraneità” familiare: ho riscontrato questo concetto sia tra Antoinette e sua madre ma anche tra Rosine e il marito, i quali, pur badando all’apparenza (l’arredo della casa, il banchetto organizzato per il ballo etc.), ‘continuarono a gridare […] un fiotto di parole rabbiose, violente, che scorrevano come un torrente […]’

Non vi spaventa la parola estraneità?

Quante volte, pur vivendo sotto lo stesso tetto con i propri genitori o il proprio coniuge, non ci si parla quasi più?

I Signori Kampf erano concentrati sul mettere in mostra le proprie ricchezze: nei nostri giorni, potremmo essere così presi dagli impegni e ansietà quotidiani da trascurare chi abbiamo vicino. Antoinette, di fronte questa ‘tragedia' familiare, conclude dicendo ‘povera mamma’: io sono determinata a non commiserarmi ma a essere ogni giorno una persona migliore (di come sono stata), costruttiva (pronta a ricostruire il possibile con la mia famiglia) e più presente nella vita di chi amo.



Titolo:  IL BALLO - 160 pagine

Autrice: Irène Némirovsky

Editore: Theoria

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